più di 10.000 lettori hanno scelto LE GRANDI DIONISIE...

mercoledì 4 aprile 2012


ORO PRO VOBBìS

studio da Annibale Ruccello
di Assia Favillo e Iolanda Salvato

con Assia Favillo
Antonio Atte e Vincenzo Catapano

Regia
Iolanda Salvato

Teatro Tordinona, 1 Aprile 2012 – Roma

Qualche giorno fa ho scelto il cinema invece del teatro per vedere un film che stanno promuovendo in una maniera attraente, inserendo sulla cartellonistica stradale diciture del tipo “il film che il Vaticano non farebbe mai vedere” e cose del genere. Attratto, lo ammetto forse un po' ingenuamente da queste frasi promozionali mi sono fatto prendere la mano e mi sono seduto sulla comoda poltrona di una multisala. Il film in questione è L'altra faccia del diavolo. Una storia con presupposti seri ed importanti come i riti esorcistici, trattata ai limiti del banale e del ridicolo con una sceneggiatura inesistente, girato con alcuni piano sequenza, con telecamere costate un occhio della testa, con un finale che fa venire voglia di lanciare sullo schermo la poltrona che mi ha ospitato, il tutto condito con una durata ridicola per un “film”, poco meno di cinquanta minuti.
Questa premessa nel caso specifico dello spettacolo di cui vi parliamo è fondamentale perché il lavoro che la Favillo e la Salvato compiono, ispirandosi al lavoro drammaturgico di Annibale Ruccello Piccolo delirio manicomiale, ci fa capire quante occasioni sprecate ritroviamo sulle nostre scene e, più ampiamente, nella nostra cultura.
Il gruppo di lavoro diretto dalla Salvato è composto da giovani, i quali sappiamo bene non hanno guadagnato neppure un decimo di quello che è spettato ai protagonisti del “filmone” dal quale siamo partiti. Eppure, lo spettacolo è frutto di un lavoro accurato, realizzato con grande eleganza e rigore scenico (ricordiamo che la Salvato è stabiese proprio come Ruccello). Una scenografia che fa invidia a grandi produzioni, conduce gli spettatori all'interno di una stanza di un convento-manicomio degli anni '80 in cui Carmela, donna cresciuta con una educazione cattolica rigidissima, in seguito ad un aborto “gestito” da una madre ossessiva, viene rinchiusa perché ritenuta pazza. La sua follia si manifesta in un corpo, in una voce, in movimenti, in deliranti frasi ed invettive nei confronti di un Dio che non l'ha aiutata: azioni che non sono – probabilmente – quelle di Carmela, ma che sono di un essere-altro che si annida dentro la protagonista. Sarà, forse, il diavolo? Sarà odio per una società bigotta che si trasforma in follia? Siamo sicuri che poi la matta sia Carmela e non chi l'ha costretta ad abortire?
Abbiamo voluto introdurre il nostro discorso con una nota evidentemente polemica: in una situazione di disastro culturale in cui ci troviamo, ci sentiamo in diritto di pretendere più attenzione da parte dei produttori e dei distributori cinematografici italiani, i quali - visti gli affari di cui godono – invece di guardare sempre oltre frontiera potrebbero investire qualche euro nel teatro favorendo così una circolazione di “prodotti” molto più validi di quei film, con costi dimezzati. Non si dica che il cinema è in crisi come il teatro. Le multisale sono sempre piene, i cine-panettoni e i cine-colomba salvano i botteghini ma danno un contributo artistico e culturale quantomeno discutibile. Allora incitiamo il pubblico ad effettuare scelte con convinzione a non cadere come pere mature di fronte alle frasi d'effetto che ricoprono le uscite promozionali dei film (l'errore che chi vi scrive ha ingenuamente fatto). Si scelga di andare a teatro, in particolare nei piccoli teatri dove – sempre più spesso – si cela il valore del teatro, che altro non è che valore della vita stessa. A tal proposito, nello specifico, vogliamo applaudire nuovamente – con queste nostre riflessioni – la vitale energia di Assia Favillo, la sua brillante “irriverenza” scenica, la sua bravura, senza trascurare il divertente e funzionale apporto dato dagli altri due attori: Antonio Atte e Vincenzo Catapano perfettamente curati dalla regista. Nota di merito, infine, per l'avvolgente disegno luci di Marco Zara e un ulteriore “in bocca al lupo” a tutta la compagnia di questi promettenti giovani della scena italiana.

Buona Scena!
Carlo Dilonardo


UBU ROI
di Alfred Jarryregia Roberto Latini
con Roberto Latini, Sebastian Barbalan, Lorenzo Berti, Fabiana Gabanini, Ciro Masella, Savino Paparella, Simone Perinelli, Marco Jackson Vergani
musiche e suoni Gianluca Misiti; scena Luca Baldini; costumi Marion D'Amburgo;luci Max Mugnai
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana / Fortebraccio Teatro
Roma, Teatro India, 23 Marzo
Rappresenta un trionfo l'Ubu Roi nella messa in scena curata da Roberto Latini. Il celebre testo di Jarry, tra le opere surrealiste per eccellenza che destò scandalo al suo debutto nel 1896 e tracciò uno dei primi passi verso il teatro dell'assurdo, si presta a un imperturbabile quanto avvincente e poetico viaggio, dove è quasi impossibile delineare specificatamente tutti gli interessanti elementi della regia di Latini. Un ribaltamento visionario dove la storia, caratterizzata da similitudini drammaturgiche con le tragedie di Macbet e Amleto, non è fine alla narrazione in sé, ma trova una linea traducibile di spettacolarità che tratta i temi più disparati, attaccati non a semplici personaggi, ma una rappresentazione generale, a tratti complessa, dell'esistenza umana e gli squilibri che ne convengono: la sete di potere, la solitudine, l'amore, il tradimento, com'è appunto per Shakespeare. Come l'onda scenica tardo surrealista italiana definibile come “la ricerca”, cui l'attore e regista romano rende omaggio calandosi nei panni di un Pinocchio simile a quello di Carmelo Bene, malinconica e sanguigna marionetta traboccante di pulsioni che ri-vivono come poesia al suono amplificato dal microfono durante le sue performances accompagnanti l'inverosimile storia di Padre Ubu. Se il vettore scenico di Latini si apre su ambigui personaggi equivalenti a uomini primitivi bianchi con canne di bambù con le quali cuociono salsicce, ne consegue che i diabolici piani di Padre Ubu e della compagna Madre Ubu convergeranno in un cartone animato psichedelico retto dalla bianca scenografia di Luca Baldini e dalla lungimirante musica di Gianluca Misiti. Anzitutto però sono sempre gli attori a decretare il flusso del piacere davanti ai quadri, uno più curioso dell'altro, che si alternano nello scorrere di una vicenda in cui echeggiano emozioni continue fra il pubblico colto di sorpresa dalla fantasiosità irrefrenabile di questa compagnia molto forte in cui i componenti sono tutti bravissimi: la malinconica ironia di Savino Paparella nei panni d Padre Ubu; una Madre Ubu come non si era mai vista grazie a Ciro Musella; Sebastian Barbalan e Lorenzo Berti nella coppia di sovrani più comicamente inquietante vista di recente a teatro; il divertentissimo Marco Vergani alias Capitano Bordure dai risvolti “volatili”; non da meno Lorenzo Berti e Fabiana Gabanini. Tutti inseriti in un contesto dove il loro tripudio creativo unito allo studio registico di Latini, definisce anche i tratti parodistici di questa messa in scena che ridicolizza alcune scelte estetiche di quella ricerca dei '70. Sei (o sette) chiamate alla ribalta al Teatro India.
Buona Scena! Mauro Sole
 
A SLOW AIR

di David Harrower

Traduzione di Gian Maria Cervo e Francesco Salerno

con Nicola Pannelli e Raffaella Tagliabue

a cura di Giampiero Rappa

Produzione GloriaBabbi Teatro


Roma, Teatro Belli, 23 Marzo


David Harrower, tra i più taglienti drammaturghi contemporanei, noto in Italia (non ancora del tutto) per il suo crudo Blackbird ad opera della recente messa in scena del Piccolo di Miano, ritorna in Italia con un testo più commovente e leggero, ma non per questo meno intenso rispetto al lavoro precedente, per lo meno, non quando l'intensità parte dalla “leggerezza” di due eccellenti attori quali Nicola Pannelli e Raffaella Tagliabue, rispettivamente Athol e Morna, protagonisti di questo racconto teatrale ambientato nella Scozia, intrisa dai tumulti e da rivolte sociali. Un clima disastrato e un po' malinconico che separa ancor più di quanto abbiano separato quattordici anni d'allontanamento i due fratelli di quest'avvincente storia, fatta di solitudine, ma anche d'amore, basata sulla riscoperta inaspettata dell'affetto famigliare. I sentimenti che si accendono non sono solo dettati dalla drammaturgia, ma si evolvono non appena ciascuno dei due interpreti rende partecipe il pubblico, attraverso la propria creatività emotiva ed immaginaria sul proprio personaggio, trascinandolo nel monologo del loro vissuto, mediante piccole e scoppiettanti peripezie: siano le difficoltà lavorative o familiari di Athol, proprietario di una ditta di piastrelle a Glasgow, che ritrova nel bravissimo Nicola Pannelli un ordinario, quanto impacciato verosimile uomo di mezza età; o siano le insoddisfazioni di Morna accumulate e aumentate da qualche bicchierino di troppo tra un posto di lavoro e un altro come donna delle pulizie, senza che abbia mai potuto affermarsi completamente come combattiva e invulnerabile a cominciare dal nucleo famigliare, almeno questo la sensazione di piacere che si rivela dalla recitazione della magnetica e simpatica Raffaella Tagliabue. Uno spettacolo che nell'impostazione semplice di Giampiero Rappa fa in modo che la chiave di comunicabilità tra i due protagonisti e il pubblico, sia il filo di un monologo sincero che possa fluire il significato profondo di un testo meraviglioso, molto più di chissà quale grossolana e costosa messa in scena. Un nuovo lavoro firmato con la qualità di GloriaBabbi, che ha inaugurato la rassegna di drammaturgia inglese Trend al Teatro Belli e che ci auguriamo di rivedere ben presto in scena nelle prossime stagioni.


Mauro Sole!

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